Viaggio dentro te stesso #2: «Madre» - Death Stranding

Viaggio dentro te stesso #2: «Madre» - Death Stranding

Il Padre del BB. La Madre che ci ha cresciuto, di un'America ormai a pezzi. Non abbiamo scelta, schiavi della Bridges e del Death Stranding.

Una delle cose più incredibili della fase iniziale di Death Stranding, è quanto siano estremamente potenti le sequenze cinematiche, seppure già viste in precedenza. Riviverle nel vivo di una sequela di eventi al cardiopalma; assumere il controllo di Sam subito dopo aver compreso più profondamente il significato sociale e spirituale della "consegna", cristallizza la materia audio-visiva in diamante. Le cinematiche si trasformano in gameplay, pure quando ci vengono precluse le funzioni da "player/regista" che ci consentono di regolare in parte l'inquadratura o lo zoom.

Perché ogni sequenza ha un suo preciso senso, funzionale e motivazionale alle azioni andremo poi a compiere. Dipingono di senso qualcosa che, slegato da quel processo intermediale, un senso non ce l'ha.

Questo, amici miei, è il significato del termine "esperienza". Il gameplay È l'esperienza.

«Io sono tuo Padre»

Siamo solo all'inizio del tutto.

Nel processo di riemersione... una visione? Un ricordo? Un'altra linea temporale? Cliff, il personaggio interpretato da Mads Mikkelsen, cerca di rassicurarci: «BB! Mi senti? Sono papà». Stiamo vivendo la scena in prima persona come se fossimo noi stessi il BB.

C'è una qualche connessione tra noi e quel Bridge Baby che Igor ci ha affidato un attimo prima dell'esplosione che lo divorasse. Ma Perché abbiamo avuto quella strana visione?

Schiavo del sistema

Quando ci svegliamo siamo ammanettati a un letto di una stanza sconosciuta. Proviamo a liberarci, con le lacrime agli occhi, ma non ci riusciamo.

«Sei sveglio? Come ci si sente a far ritorno nel mondo dei vivi?», un uomo grassoccio, interpretato da Guillermo del Toro, entra nella stanza e si presenta, «Tranquillo, sono un medico. Mi chiamo Deadman. Vedi quelle? Servono solo a proteggerti».

«Sono prigioniero?», è l'ovvia domanda che, infastiditi, siamo obbligati a porgli.

«Quelle non sono manette. Sono dispositivi che portiamo per essere tutti connessi».

«Noi, chi?»

«La Bridges. Per l'umanità è l'unica speranza di un futuro... Per evitare l'estinzione»

«Dove mi trovo? Che ore sono?». Di che diavolo sta parlando? Non ho la più pallida idea di dove mi trovo e quanto tempo sia passato dall'esplosione che ha travolto tutto.

Deadman ci ignora, e come se non avessimo neanche aperto bocca continua a spiegarci come utilizzare quello strano dispositivo chiamato Manette-Link: «Fai come me. Stringile sul polso, in questo modo».

Facciamo come dice. Appena strette al polso, si attivano illuminandosi e mostrandoci una miriade d'informazioni olografiche del quale, al momento, ignoriamo il significato.

«Le M-Link ti monitoreranno 24 ore al giorno. Ovvero, lo faremo noi. Siamo qui per aiutarti».

Certo come no, dico a me stesso ripensando alle parole di Jean-Jacques Rousseau: «L'uomo è nato libero ma ovunque si trova in catene». Karl Marx avrebbe molto da ridire su questo sistema di controllo, lui che utilizzava il termine "schiavi" per definire i lavoratori dell'era moderna.

«Nel frattempo ci siamo permessi di prelevare campioni dei tuoi fluidi corporei. Tu sei un riemerso. Questo ti rende molto speciale», continua a spiegarci Deadman. Massì, fate pure con comodo. Tanto ormai... piuttosto: «Dove sono i tizi dello Smaltimento Cadaveri?».

Deadman ci spiega che sono stati spazzati via dalla faccia della terra: Game Over (con tanto di citazione a Metal Gear Solid). L'esplosione ha formato un nuovo imponente cratere.

Death Stranding: Game Over feat. Metal Gear Solid

Manifestazioni del subconscio

«Sei l'unico sopravvissuto, insieme al Bridge Baby rotto», ci dice l'uomo paffuto senza entusiasmo. Di soprassalto ci alziamo dal letto: «È a posto?». Siamo preoccupati. Lo è Sam quanto lo sono io.

«È destinato allo smaltimento. Non funzionava più, perché tenerlo?», si chiede stupito Deadman.

Sono tutti morti. Il Quartier Generale, tutta Vredefort e ogni anima di Central Knot City. ora la base è stata spostata a Capital Knot City. Un disastro di proporzioni gargantuesche.

«Come te lo sei fatto?», Deadman indica il segno arrossato d'una mano sul nostro braccio. È il segno lasciato da Fragile. Proprio in quel momento Deadman prova ad allungare la mano e a toccarci, ma ci scansiamo appena in tempo.

«Capisco, soffri di aptofobia. Ecco perché andavi in giro da solo. Così nessuno ti toccava».

Già. L'aptofobia è la paura di essere toccati. Le persone che ne sono affette provano disagio se non repulsione nei confronti del contatto fisico. Spesso compare a causa di un evento traumatico, in seguito all'aver vissuto un'esperienza efferata, come uno stupro o una grave perdita.

Un'ipersensibilità psicologica che, a quanto pare, su Sam si manifesta attraverso una reale reazione cutanea. Il subconscio diventa realtà. Anche questo è (il) Death Stranding.

Stentiamo a capire. Ma Sam capisce. È il suo passato che, ora, sta diventando il "nostro" passato. Non lo conosciamo ancora ma è lì, pronto a "riemergere" in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo.

Le mani della Madre

Deadman ci passa attraverso come fosse un fantasma: la sua immagine è solo un chiralgramma che gli scatena una reazione allergica che ben conosciamo: la lacrimazione. In realtà lui si trova nell'area d'isolamento, insieme a Bridget, la Presidente degli Stati Uniti d'America, una nazione ormai divisa e ridotta in macerie. Il sol sentire il nome di quella "nazione" infastidisce Sam: «L'America è finita».

Ma è necessario il nostro intervento per portare la morfina alla Presidente in agonia. È malata da tempo: un cancro. Incurabile. Le medicine, perlomeno, potranno servire ad attenuare il dolore.

Arrivati a destinazione, veniamo accolti da un tipo con una maschera nera e la scritta "Ludens" sulla fronte: Die-Hardman, il direttore della Bridges, che ci saluta come se ci conoscessimo da una vita. E forse è proprio così: «Quanti sono Sam... Dieci anni?».

Non rispondiamo.

Ci avviciniamo al letto dove riposa Bridget, interpretata da Lindsay Wagner.

Lei ci scruta con occhi inquieti e delusi: «So che mi odi». Una breve pausa. Poi, «Amelie...».

Sam sobbalza appena sente pronunciare quel nome: «Amelie?».

«È andata a ovest. Ci ha messo tre anni ad arrivare per ricostruire il paese», un'altra breve pausa, «Ma sei tu che volevo mandare, Sam. Il tempo sta per scadere. Devi aiutare Amelie, ha bisogno di te».

«L'America non esiste. Bridget, sei la presidente di un cazzo di nulla», è la risposta perentoria di Sam. Ma lei, nel tentativo di afferrarci, cade dal letto. Una nera pece fuoriesce dal suo corpo. Le sue mani sono ricoperte di quella melma oliosa e lasciano impronte sul pavimento, proprio come le CA. Si avvicina, trascinandosi come non avesse più il controllo del suo corpo. Una scena sfiancante e raccapricciante: gli ultimi istanti di vita della donna che ci ha cresciuto, allevato, amato.

Una foto cade in terra. "Quella foto" che raffigura Bridget, Sam, e la donna dal volto sfumato a causa della cronopioggia, i cui tratti somatici non riusciamo ancora a identificare chiaramente.

Nostra madre ci guarda negli occhi per l'ultima volta: «Ti voglio bene Sam».

«Io ti aspetterò sulla Spiaggia». Mentre ci sussurra le sue ultime parole, in un batter di ciglia prima di spirare, le sentiamo risuonare come fossero pronunciate dalla donna vestita di rosso della visione, quella stessa che avevamo visto e tentato di avvicinare prima della riemersione.

Siamo immobili, impotenti. Le immagini sono sfumate, i suoni ovattati, mentre il team medico cerca di rianimare la Madre. Ma non c'è niente da fare e bisogna agire in fretta, perché a causa del Death Stranding i cadaveri si trasformano in Creature Arenate e generano crateri. Non ci vuole molto per convincerci a intraprendere questo nuovo struggente viaggio. Non abbiamo scelta se non quella di farci trascinare dagli eventi. In fondo, cos'abbiamo da perdere? La vita? No... non possiamo morire.

La missione è Top Secret: nessuno deve sapere che la Presidente, la Madre, è morta. Se la notizia trapelasse, il morale dei pochi sopravvissuti a questo mondo maledetto crollerebbe a picco. Già soli, si sentirebbero ancora più soli. Soli e perduti. Come noi. Non abbiamo più nulla, nemmeno le lacrime per piangere: le abbiamo tutte esaurite a causa dall'allergia chirale.

E ora dobbiamo portare fisicamente nostra madre in spalla, 55.4Kg, come fosse un pacco.

Dobbiamo portare nostra madre all'inceneritore, attraversando una zona pericolosa e piena di CA. E poi bruciarla, attivando con le nostre stesse mani il macchinario apposito. E dobbiamo fare in fretta, prima che il chiralium che si sprigiona durante il processo di necrosi causi un'ennesima esplosione portando alla formazione di un nuovo cratere.

Non abbiamo scelta. Non abbiamo scelta.

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