Viaggio dentro te stesso #1: «Esplosione» - Death Stranding

Viaggio dentro te stesso #1: «Esplosione» - Death Stranding

La trama, la storia di Death Stranding vista con gli occhi di un videogiocatore serio e attento. Prima parte di un viaggio audio-visivo e spirituale.

La prima cosa che scopro è che la mia data di nascita è importante. La mia, non quella di Sam Porter Bridges... ma qual è la differenza poi? In Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, se avviavi il gioco nel giorno del "tuo" compleanno, una bella festa con tanto di torta, canzoncina e candeline era pronta ad aspettarti alla tua Mother Base. E un bel sigaro, ovviamente, con gli omaggi di Revolver "Shalashaska" Ocelot. E di Quiet, a modo suo: silenziosa ma efficace.

Questo è il "tocco" di Hideo Kojima, riconoscibile sin dai menu che precedono l'inizio dell'avventura nel suo nuovo, visionario e folle universo videoludico: Death Stranding.

Non solo: in Death Stranding lo zodiaco non è quello di soli 12 segni che siamo abituati a conoscere: «Sono stati osservati livelli maggiori di abilità DOOMS nelle persone nate sotto le costellazioni come Cancro, Pesci, Balena, Delfino e Orione».

Nell'antica Cina, Orione era uno dei 28 Xiu zodiacali, conosciuto come Shen che significa "tre" (i tre Re, che formano la Cintura di Orione, stelle allineate su una retta al centro della costellazione). E la Balena (insieme all'Ofiuco, anche detto Serpentario) fa parte di un particolare oroscopo a 14 segni. Ma il Delfino? Chissà. Forse è «come quelle strane storie di delfini che, vanno a riva per morir vicini e non si sa perché».

Stranding significa proprio questo: spiaggiamento o arenamento. Ma lo Strand è anche un filo, un collegamento, che in fondo è ciò che noi, gli ultimi uomini, siamo: «Una corda sospesa tra la bestia e l'oltreuomo», per citare l'onnipresente Friedrich Nietzsche.

Il primo incontro con Fragile

Noi... io... cioè Sam, è in sella a una moto che nella forma ricorda vagamente quella di Akira, anime immortale diretto, scritto e sceneggiato da Katsuhiro Otomo. La visione d'una donna bionda con l'ombrello ci fa sbandare, un po' anche il cuore, ma soprattutto dalla strada. Non c'è niente da fare: la moto è perduta.

Non ci resta che raccogliere al più presto i nostri pacchi ("Do Not Tamper", ovvero "Non manomettere" è la scritta che si legge sullo scotch giallo che li avvolge) e cercare riparo dalla Cronopioggia: una pioggia che fa invecchiare tutto ciò che tocca: pacchi, persone, oggetti. Anche la foto misteriosa che ritrae me, cioè lui, Sam, insieme a due donne: una più anziana con la mano appoggiata sulla sua spalla sinistra, un'altra con il volto ormai cancellato dall'inesorabile Pioggia del Tempo.

Lo si era capito già dai trailer: un pericolo misterioso e invisibile è in agguato ogni volta che la Cronopioggia si fa innanzi, preannunciata da un'inquietante stormo di corvi impazziti, come nel film "Gli Uccelli" di Alfred Hitchcock, dove i neri pennuti sono presagio di morte e sventura, e da un arcobaleno "sottosopra". E infatti l'incubo arriva di soppiatto, dapprima aleggiando nell'aria e scatenando una reazione allergica sulla nostra pelle, per poi prendere la forma di mostruose zampate animalesche che lasciano una traccia profonda e nera come la pece sul terreno.

Ed è proprio in questo momento terribile, terrificante, che arriva lei. La donna con l'ombrello ci stringe il braccio e ci fa segno di fare silenzio. La creatura misteriosa potrebbe udire il nostro respiro. L'aria è pesante, un'aria che vorrebbe uscire fuori dai polmoni ed esplodere ma non si può fare altro che resistere... resistere... resistere... trattenere il fiato finché la creatura, distratta da altri animali, finalmente, s'allontana. Siamo salvi, ma per un soffio. La donna scruta l'orizzonte mentre una lacrima le scende sopra il viso.

Ora che il pericolo è passato, Sam si accorge che la mano della donna gli cinge il braccio. Di scatto si ritira, sorpreso di sé stesso e spaventato: non vuole essere toccato per nessuna ragione al mondo.

«Non ti volevo stringere così forte... tu lacrimi, hai un'allegia chirale, le DOOMS, come me», afferma la donna vestita di nero.

«Ho il fattore estinzione, ma credo che tu mi batta», risponde Sam.

«Di chi livello sei? Puoi vederle vero?».

Sam distoglie lo sguardo e fa un passo in avanti prima di rispondere: «No, ma posso sentirle».

«Livello 2 allora», afferma fiduciosa la donna, «Il mio nome è Fragile. Ho sentito parlare di te, Sam Porter Bridges: l'uomo delle consegne».

Fragile afferra un criptoverme che sfida tutte le leggi della fisica conosciute sul pianeta, come del resto ogni altra cosa attorno a noi. Sempre che di questo "nostro pianeta terra" si tratti.

Per un videogiocatore il confine tra sé stesso e il suo avatar, specialmente quando si tratta di un'opera ideata e diretta da Hideo Kojima, è più sfumato che mai. E lo si può notare anche dal modo in cui scrivo questo diario di viaggio: una "discrasia linguistica e psicologica" potente e inevitabile. Un continuo domandarsi: «Dovrei scrivere in prima persona? In terza persona?». Ma forse è tutto sottosopra anche nella mia mente, inutile tentare di mantenere una coerenza linguistica. Perché le parole della lingua che sto usando, l'italiano, stentano a raccontare un universo narrativo la cui coerenza è così tenue. Sottile, come sottile è il confine tra avatar e videogiocatore.

Il criptoverme in realtà si chiama Criptobionte: un organismo animale in grado di sopravvivere anche in condizioni di vita estreme. Nei periodi di siccità si contraggono e "muoiono" temporaneamente entrando in "criptobiosi". Una volta tornati a contatto con l'acqua ritornano in vita, anche dopo aver trascorso anni in quello stato criptobiotico. In Death Stranding, dovremo ingerire questi criptovermi per recuperare energia ematica.

Ah! Che fortuna quando d'un tratto il confine tra schermo e realtà, tra avatar che esegue un'azione e videogiocatore che preme un pulsante, diventa così palese. Non ho alcuna voglia di ingerire fisicamente quegli schifosi vermiciattoli.

Ma Fragile non se ne cruccia e li inghiotte come fossero bocconcini prelibati d'alta cucina: «Un criptobionte al giorno leva la Cronopioggia di torno».

La ragazza ci offre di lavorare per la "Fragile Express", ormai in rovina: sono rimasti in pochi a lavorare per quella compagnia infestata da "traditori". D'un tratto la donna tira via il suo guanto nero per mostrarci la sua mano corrosa, invecchiata, probabilmente a causa della Cronopioggia.

Le serve gente affidabile per effettuare le sue consegne. Ma io non posso esserle d'aiuto: «Faccio solo consegne», questo è tutto. Sono un uomo molto solo, un corriere sospeso tra la vita e la morte, che viaggia di destinazione in destinazione tra mille pericoli e avversità.

Ma perché poi?

Un tempo ci fu un'esplosione...

«Heavy bones, bloody eyes, sweaty clothes, new routine, bit of land, to understand and know».

Dopo aver meditato qualche minuto tenendo premuto il tasto Cerchio del joypad, riprendo il viaggio sotto le note di "Don't Be So Serious" dei Low Roar. "Non essere così serio", ma è difficile essere frivoli e superficiali di fronte alla serietà e alla meraviglia di questo mondo antico eppure futuristico, che alla lontana ricorda il suo "fratello di Engine", Horizon Zero Dawn, che pure girava sotto il motore grafico Decima sviluppato dagli olandesi di Guerrilla Games. Anche in questo caso, il nome non è casuale: Decima deriva da Dejima, isola artificiale nella baia di Nagasaki che veniva utilizzata proprio dagli olandesi durante il sakoku, in un periodo storico durante il quale agli altri occidentali era impedito entrare in Giappone.

Comincio a scoprire l'utilità della prima persona (tasto L1), che indica la distanza in metri dai nostri obiettivi, la profondità degli strapiombi o l'altezza di monti maestosi e apparentemente insormontabili; e dell'affascinante radar Obradek formato da sensori a forma di stella. Quando lo utilizzo (tasto R1) ogni raggio s'illumina per indicarmi quanto sono scoscesi i terreni o profonde le acque. Queste informazioni sono davvero così importanti per noi che siamo... Corrieri?

Trasportare pacchi non è una cosa scontata in un mondo infestato dal Death Stranding, come mi spiega il caro Igor, addetto allo smaltimento cadaveri, che dopo avermi reclutato al volo per una missione d'emergenza mi spiega che: «Il mondo dei vivi e quello dei morti si sono mescolati insieme. La gente, per paura, si è barricata nelle città e i corrieri come te sono stati messi su un piedistallo». Un sobbalzo. Ci stringiamo ancora più forte alle maniglie sul retro del furgoncino che ci sta trasportando verso l'apposita zona di "incenerimento". Il terreno è particolarmente frastagliato, formato da rocce d'ogni forma e dimensione.

«Il mondo era diverso ai miei tempi. L'America era una nazione e ognuno poteva andare dove gli pareva. Non avevamo bisogno di corrieri come te. Avevamo autostrade, aerei. Pensa, potevamo visitare altre nazioni!», continua a spiegare Igor.

Sam, il nostro avatar, non sembra sorpreso. Io, videogiocatore, ascolto in silenzio cercando di carpire più dettagli possibili sul mondo che mi circonda e che, acquistando il gioco di mia spontanea volontà, ho deciso di visitare.

Ma subito mi rendo conto che questa gita turistica sta per finire male. Il cielo si oscura come in un tetro presagio e un arcobaleno rovesciato appare all'orizzonte. Il cadavere accanto a noi comincia a decomporsi e questo, nel mondo di Death Stranding, è sinonimo di catastrofe.

Arrivano.

"Thump", "Thump", "Thump"- Qualcosa sta "camminando" sul nostro furgone. Succede tutto troppo in fretta. Dopo pochi secondi l'autista perde il controllo del mezzo e poi... l'oscurità.

Deja-vu. Ciò che sta accadendo lo avevo già visto nello sconvolgente trailer dei Game Awards 2017. Ma stavolta l'emozione è amplificata di almeno 10 volte.

Mads Mikkelsen, uno dei protagonisti del gioco, aveva dichiarato: «Death Stranding è come un labirinto, non riesco a capire per niente come funzioni. Tutto ciò che posso dire è che si tratta di qualcosa che non ho mai visto prima». Comincio a capire il senso di quelle parole.

Le leggi della fisica sono ribaltate. Una creatura mistica e gigantesca che assomiglia all'unità EVA-01 in Berserk (o Stato di Furia, per citare Cannarsi) come in Evangelion, inghiotte tutto ciò che c'è attorno. Solo che la sua furia è silenziosa, immobile, ma non per questo meno implacabile.

Un'esplosione. Una luce. Poi di nuovo l'oscurità.

In quello che potrebbe essere un sogno, una visione del passato o del futuro, Sam si ritrova in ginocchio, sulla Spiaggia, legato tramite un cordone ombelicale a un infante, piccolo e fragile. Stringe il piccolo a sé come fosse l'essere più prezioso di questo mondo proprio un attimo prima di liquefarsi e assumere le sembianze di una melma nera che c'imbratta le mani e lo spirito.

Sam si alza lentamente. I polsi cinti da manette futuristiche, il collo adornato da una strana collana che pare formata da sei piccoli monoliti argentati, e uno squarcio sulla pancia che rassomiglia a un taglio cesareo a forma di croce. Nel cielo, in alto, s'intravedono cinque longilinee creature eteree che sovrastano una raccapricciante immagine di morte: decine, forse centinaia di cetacei spiaggiati.

Una donna vestita di rosso appare: «London Bridge Is Falling Down... Falling down...». Si tratta di una tradizionale filastrocca inglese dall'oscuro significato, nota anche come "My Fair Lady" o "London Bridge". Il poeta anglo-americano T. S. Eliot l'aveva utilizzata alla fine della prima sezione del suo poema più famoso: "La terra desolata", che ci parla di un territorio sterile e morente che i cavalieri devono attraversare per arrivare al Graal. Uno dei temi centrali è il mondo moderno ormai in crisi, una civiltà occidentale sterile, condannata, massacrata dal logorante conflitto di trincea della prima guerra mondiale, terminata poco prima della pubblicazione dell'opera, nel 1922.

Ciaf... Ciaf... CLOMP! Sam, che aveva appena posato i piedi sull'acqua bassa della riva nel tentativo di avvicinarsi alla donna in rosso, sprofonda nell'oceano. Perché Sam è un riemerso. Non può morire. Quando viene ucciso rivive facendo ritorno da un luogo noto come l'abisso.

Quante volte è già sprofondato in questo abisso fino a oggi? Non posso immaginarlo. Non "oso" immaginarlo. Sono immobilizzato, tutto ciò che posso fare è restare a bocca aperta e pensare... pensare di nuovo alle parole, profonde e sconcertanti, di uno dei miei più grandi maestri di vita: