The Last Guardian e l'arte di Fumito Ueda

The Last Guardian Cover Art

La bellezza dell'attaccamento alla vita.

I videogiochi sono un mezzo di comunicazione estremamente particolare. Molto spesso, soprattutto in tempi recenti, si tende a fare un paragone non del tutto azzardato: quello con il cinema.

Il cinema, proprio come i videogiochi, nasce come semplice intrattenimento, dove la storia narrata non è altro che un pretesto o, nella migliore delle ipotesi, una metafora decisamente esplicita atta a stupire lo spettatore. Gli anni, l'esperienza, la voglia di narrare che è fortunatamente innata nell'essere umano hanno portato i videogiochi ad attraversare differenti stati evolutivi, seguendo tante tipologie di narrazione.

Sono tantissimi i padri di quella che amo chiamare “narrativa videoludica contemporanea”: da Hideo Kojima a Warren Spector, passando per la neonata coppia formata da Neil Druckman e Bruce Sterling di Naughty Dog. Tra questi "fondatori", uomini dalla smisurata cultura e dalle infinite risorse, volano alcune mosche bianche, uomini che portano avanti idee molto difficili, criptiche e raffinate, decisamente ostiche da affrontare all’epoca del loro debutto, ed ancora oggi non del tutto sdoganate. Una di queste per me, così come per tutta l’industria e gli appassionati, è senza ombra di dubbio Fumito Ueda.

Per la splendida e aurea epoca di PlayStation 2, Ueda è stato un innovatore fuori dagli schemi, sublime ed elegante come pochi, che a differenza dei meno coraggiosi ha lasciato che la sua poliedrica personalità si impadronisse sin da subito del concetto di videogioco. Prima di The Last Guardian e Shadow of the Colossus, la sua opera d'esordio, ICO, è forse ancora oggi uno dei giochi più simbolici e sconcertanti che mi sia mai capitato di giocare, una sottile e fragile storia d'amore ed amicizia, un percorso evolutivo del giovane protagonista, Ico appunto, che pone le sue radici simboliche nella gestualità e nei silenzi, creando la magia del non comprendersi, del perdersi e ritrovarsi, ma anche l’angoscia dei momenti in cui c’è da lasciare sola la splendida ed eterea Yorda per risolvere un enigma e trovare una via di fuga dalle ombre.

ICO: la potenza della malinconia

Volendone parlare più semplicemente, ICO è un gioco che si basa sulla cooperazione tra giocatore e intelligenza artificiale, senza alcuna possibilità di dialogo. È anche la storia di un bambino maledetto e di una donna tanto bella quanto pallida, entrambi tenuti prigionieri in una fortezza, un castello che probabilmente rappresenta la miglior dimostrazione di “non luogo” nell’ambito dei videogiochi e non solo. Il gioco uscì nella primavera del 2001, totalmente in sordina e accompagnato da una splendida edizione speciale che in pochi hanno la fortuna di possedere. Debuttò nei negozi pronto a sfidare ad armi pari un altro mostro sacro della generazione di PS2: Devil May Cry, un capolavoro action sfornato dall’altrettanto eclettico Hideki Kamiya, in tempi recenti padre (tra gli altri) di Bayonetta e Scalebound e al tempo saldamente legato alla Capcom.

Sotto il cielo di Hyrule

Dal canto mio, non so dirvi perché decisi di comprare ICO e dare una possibilità a un gioco che era comunque strano per l'epoca e di cui avevo letto pochissimo: Probabilmente mi spinse il fatto che un mese dopo l’uscita sarebbe stato il mio compleanno, e che, quindi, avrei potuto prendere anche Devil May Cry: ebbi una voglia matta di rischiare. E alla fine quella volta fu uno dei migliori rischi che io abbia corso in tutta la mia carriera da videogiocatore.

La potenza devastante della malinconia, della disperazione, lo strazio di una colonna sonora sempre presente, la gioia di portare a termine una storia così semplice eppure così difficile da comprendere mi fecero letteralmente innamorare del lavoro di Ueda. Provai a consigliarlo a tutti (e badate che nel 2001 tutti, ma proprio tutti possedevano una PlayStation 2), ma il mio fallimento si leggeva sul volto di moltissimi amici che vedevano un gioco dove si combatte solo per necessità, dove si tiene la mano di una donna che non parla la tua stessa lingua e dove solo i gesti permettono di scrutarne le paure, le insicurezze, l’amore.

L'arte era il richiamo fondamentale di un game designer influenzato dalla sfera artistica classica, dal surrealismo e dalla metafisica. I panorami di ICO, la copertina del gioco e le atmosfere ricordano le famose "Piazze Italiane" di Giorgio De Chirico, e anni dopo lo stesso Ueda ha confermato che il pittore, padre della metafisica mondiale, fu una delle maggiori fonti di ispirazione per la creazione delle ambientazioni di ICO.

Il primo lavoro di Fumito Ueda ebbe un impatto devastante sulla critica e sul pubblico, che decise di dargli una chance. I videogiochi di nicchia esistevano, anche se in piccola parte, ma ICO si spingeva oltre. I vertici di Sony se ne accorsero e Ueda, ormai sicuro delle sue doti di narratore “anomalo", trasformò il suo primo lavoro in un lungo progetto ambientato in un mondo fantastico e ricco di storie, storie colme di morale sul sacrificio e non solo.

Correva l'anno 2005, il profumo di next-gen era nell'aria, ma ancora una volta Fumito Ueda ferma tutti, ci gela sul tempo, ci fa pensare che la vecchia PS2 può restare ancora per un po’ in salone; in quell’anno, infatti, Sony lanciò sul mercato il secondo lavoro del Team Ico: Shadow of the Colossuss.

Shadow of the Colossus: la magia dei silenzi

Ai videogiocatori reduci da Metal Gear Solid 3: Snake Eater, forse uno dei videogiochi più importanti di sempre, viene recapitata un'altra sberla in pieno volto, un gioco dal ritmo lento, una lunga marcia funebre, un prodotto che ha da dire tantissimo e che cerca di raccontare milioni di tematiche riuscendoci senza alcuna insicurezza.

Shadow of the Colossus: arte e giganti

Wander, eroe molto simile ai primi personaggi di Hayao Miyazaki per compassione ed eroismo, si reca nel Sacrario del Culto con il corpo privo di vita dell'amata Mono. Il giovane è disperato e, come nella più stralunata delle favole, non vuole accettare il concetto di morte (mai tanto palese come in questo lavoro). Così chiede a Dormin, spirito che abita il Sacrario, caratterizzato da una doppia voce femminile e maschile, di riportare Mono in vita, perché l'accettazione è da sempre la dote meno sviluppata nella coscienza umana. Dormin accetta, ma in cambio il giovane dovrà uccidere sedici titani, sedici gigantesche bestie che sono come dei sarcofagi per i sedici pezzi che compongono l’essenza di Dormin. Questa entità è la raffigurazione di un Dio moderno, un dio Nietzschiano, privo di vita ed essenza, onnipresente ed onnisciente, ma duale come la luce e l'ombra, l'odio e l’amore.

Così inizia il cammino di Wander, una fuga dalla propria consapevolezza che trasforma l'uomo in assassino, perché i titani non sono bestie feroci ma noi siamo costretti ad abbatterli nonostante la magnificenza della vita e della natura, rigogliosa sulle loro schiene e sulle loro ali, che li contraddistingue; un viaggio dove ad accompagnarci sarà un amico fedelissimo: Agro, il cavallo del giovane e avventuroso protagonista.

Durante i lunghissimi spostamenti, alcuni dei quali possono durare anche quaranta minuti, ci troveremo ad apprezzare nature morte e rovine fatiscenti che vengono pescate a piene mani da Monet e l'arte classica greca, dove ritroveremo ancora un silenzio che mai come in questo viaggio diventa assordante, preludio alla pazzia, mutismo totale e regalo di madre natura. Agro ci accompagnerà fedelmente, eseguirà ogni nostro ordine, sarà un eroe ed un martire ancora più di Wander, che di eroico ha solo un sogno. Il destriero sarà protagonista di uno dei momenti più struggenti del gioco, dove, dopo essere stato fido compagno per interminabili ore, si sacrificherà per permetterci di andare avanti, di decidere di proseguire oppure ostinarsi nella pazzia e nell'omicidio.

The Last Guardian: la bestia e il giovane ragazzo

Shadow of the Colossus è un gioco fortissimo e difficile da digerire, forse persino più di ICO, perché incarna la poesia in aspetti più maturi e feroci, la cecità, l'inettitudine dell'uomo e la forza di desideri irrealizzabili che ci guidano, ma in realtà vogliono solo lasciarci perdere, farci scivolare in un dirupo di emozioni, proprio come succede ad Agro.

Nel 2007 Fumito Ueda è “pronto” a chiudere una trilogia che lega i suoi due lavori precedenti con un filo sottilissimo presentando con un piccolo teaser: Project Trico, quello che oggi, e che per i seguenti nove anni dall'annuncio è poi stato riconosciuto col nome di The Last Guardian.

La storia del terzo lavoro del game designer giapponese è travagliatissima: inizialmente il gioco sarebbe dovuto uscire in esclusiva per PlayStation 3, ma la difficoltà di programmazione e la potenza richiesta dal Team Ico per dare al "piccolo" Trico l'intelligenza artificiale di cui aveva bisogno per un interazione fluida e credibile portarono a più di una riscrittura del progetto. Pensate, nel 2011 addirittura Fumito Ueda scisse il suo contratto con Sony, affermando che avrebbe continuato a lavorare solo per ultimare lo sviluppo di The Last Guardian.

Nonostante tutto questo pasticcio mediatico, è il 2015 l'anno della svolta. Durante una delle più belle conferenze E3, Ueda sale sul palco per presentare l'esclusiva PS4 più ambita dai fan Sony: The Last Guardian uscirà nel 2016 ed è di una bellezza semplicemente imbarazzante. Il pubblico grida urla di gioia, ma non sa ancora che sarebbe stata solo la prima delle tre bombe lanciate in una afosa notte di giugno: seguirono Shenmue 3 e Final Fantasy VII Remake, tutti a casa, tutti felici.

The Last Guardian: il cuore gentile e tormentato della bestia

The Last Guardian sparisce per un anno, ma l'effetto non è più quello della paura e delle incertezze, Ueda e il team Ico, supportati dai duttilissimi Japan Studio, stanno lavorando sodo, il gioco deve uscire nel 2016 ed uscirà nel 2016: i ritardi non sono più ammessi. Ovviamente la prima cosa a cui molti giocatori speravano di assistere dopo la proiezione del nuovo trailer è successa per davvero: The Last Guardian uscirà il 26 ottobre 2016, in formato retail e digitale, anche in una a dir poco splendida edizione da collezione.

Nota: i prossimi paragrafi contengono alcune anticipazioni sulla trama di The Last Guardian.

Ma il famoso filo di cui vi parlavo prima, come collega le avventure del giovane ragazzo senza nome e di Trico? È ancora una volta il tema della solitudine e della cooperazione, ormai marchio di fabbrica di Ueda, che ci guiderà lungo l'ennesimo splendido viaggio. Il terzo capitolo della trilogia ha un’ambientazione molto più vicina a ICO che a Shadow of the Colossuss e ci rimetterà nei panni di un ragazzo in età pre-adolescenziale, che incontrerà un animale semi-mitologico, ovvero un misto tra un drago, un gatto e un uccello, qualcosa di simile ad un grifone. Insieme, i due protagonisti di The Last Guardian dovranno fuggire da una fortezza pattugliata da misteriosi soldati.

Diversamente dai due precedenti lavori c’è un elemento narrativo che, pur non essendo profondissimo, è sicuramente accennato. Infatti, la storia viene raccontata dal ragazzo, ormai anziano, e parte proprio dalla prima volta che ha incontrato l’iconica bestia. Il titolo giapponese è letteralmente Trico: La bestia mangia uomini, quindi possiamo ben immaginare che il rapporto con il nostro comprimario sarà tutt'altro che idilliaco, almeno all'inizio del gioco.

Nonostante lo stile sublime, la cosa che più cade all'occhio è l'estrema attenzione posta nella creazione dell'intelligenza artificiale di Trico, che è dotato di un forte potere decisionale e dell'animo ribelle di un cucciolo di gatto; non sarà facile capirne le routine oppure decifrarne le espressioni, e questo stratagemma è ormai tipico per un titolo di Ueda, un qualcosa che può solo renderci felici e vogliosi di terminare il gioco, ancor prima di creare un legame forte col nostro compagno di viaggio.

Ad aiutarci ci sarà un misterioso scudo che emette un raggio di luce e che pare attragga l'attenzione di Trico, ma che ovviamente e giustamente non sarà disponibile da subito. Dovremo armarci di tantissima pazienza, perché l'animale, come abbiamo visto durante la demo dell'E3 2015, avrà anche paure e ricordi spiacevoli, e in quei casi dovremo essere noi a risolvere determinati puzzle per permettere al nostro peloso/piumoso amico di poter proseguire e sbloccarsi dalla paralisi derivante dalle torture subite.

Una delle cose che più ha colpito, sin dalla primissimo annuncio, è senza dubbio lo sguardo di Trico: la sofferenza, il dolore delle molte frecce conficcate nella pelle si riflette nei suoi occhi con un realismo pauroso e spietato, il realismo tipico delle situazioni oniriche e surreali a cui Ueda ci ha abituato. E poi l'atteggiamento, le movenze e la goffaggine tipica dei cuccioli, qualcosa a cui ti devi affezionare non solo per reciproco attaccamento alla vita, ma per amore puro, vero, un tipo d'amore che si trova negli occhi di chi ha sofferto.