Detroit: Become Human, l'umanità vista dagli androidi

Detroit: Become Human logo

Corpo di metallo, anima di burro.

Detroit: Become Human è stato riproposto, in maniera decisamente più compiuta rispetto al passato, in occasione della conferenza E3 2017 di Sony con un nuovo trailer e, successivamente, con un paio di corpose demo di gameplay giocate.

Un'occhiata da vicino all'ultimo lavoro di David Cage, boss di Quantic Dream che avevamo potuto conoscere più da vicino nello speciale David Cage: da Bowie a Fahrenheit, passando per Heavy Rain e Beyond, lascia spazio a certezze e qualche dubbio.

Il gioco è ambientato a circa 20 anni del futuro, dove la tecnologia si è evoluta e gli androidi hanno sostituito gli esseri umani nel settore pubblico e privato. Tutto ok, finché gli androidi non cominciano a mostrare uno strano atteggiamento comportandosi come esseri umani dotati di libero arbitrio e cominciando a mettere in discussione il loro posto nella società. Un plot che, di primo acchito, non pare brillare per originalità. Tanti altri hanno affrontato questo delicato quanto intrigante argomento sull'intelligenza artificiale forte, sin delle leggi della robotica ideate dallo scrittore Isaac Asimov. Ma troviamo moltissimi altri riferimenti culturali sull'argomento nel cinema (Blade Runner o Matrix), e nei videogiochi (Fallout, Deus Ex, Portal).

Se gli androidi fossero i buoni e gli umani i cattivi?

Essendo già stato trattato in precedenza, l'argomento diventa per Quantic Dream un campo da gioco pericoloso, nel quale si corre il rischio di far cascare il giocatore nella sensazione di déjà-vu. Il pericolo aumenta se consideriamo che quest'ultima avventura di David Cage è stata realizzata in puro stile Quantic Dream, quindi guidata da quell'interattività parzialmente limitata caratterizzata da QTE (Quick Time Event) e scelte morali.

Per questi motivi, il modo di narrare i fatti e le situazioni da affrontare nel corso del gioco, dovranno essere ben studiate e affrontate in maniera non banale. Lo stesso Cage, parlandone in un'intervista, si è dimostrato consapevole di questa necessità: "Ho pensato a quale punto di vista sarebbe stato più interessante e ho pensato, 'E se fossero gli umani a essere i cattivi? Se fossero loro a essere una razza in declino, egoista e dipendente dalla tecnologia, così tanto da aver perso di vista i suoi valori fondamentali?'".

Ma anche questo terreno è risultato spigoloso: "La mia paura era capire se i giocatori umani avessero potuto provare empatia per questi personaggi, soprattutto visto che a non essere 'bravi ragazzi' sono proprio gli umani. Ma da quanto abbiamo potuto testare, la gente non è interessata al fatto che siano androidi, perché vengono innanzitutto percepiti come persone che combattono per i loro diritti e per le loro libertà".

Il gameplay e la libertà di scelta

Kara, un'androide che prova a vivere la sua vita fuggendo; Connor, un cacciatore di devianti (ossia, i ribelli) che lavora con gli umani per tenere sotto controllo gli altri androidi; e Marcus, il leader della rivoluzione delle macchine. Si torna dunque a un gameplay con più protagonisti le quali storie si intrecceranno tra loro, come già accadeva con Heavy Rain, ma stavolta dandoci la libertà di delineare i caratteri dei personaggi in maniera più libera e approfondita. Gli sviluppatori hanno voluto precisare che le scelte dei personaggi avranno delle profonde ripercussioni sulla trama, molto più che in passato. Ad esempio, uno dei protagonisti può morire subito oppure accompagnarci fino alla fine dell'avventura. Inoltre, ogni atteggiamento, pacifista o aggressivo, influenzerà direttamente il modo di pensare degli altri androidi, andando a influire in maniera direttamente proporzionale sugli eventi.

Anche l'approccio alle singole situazioni o missioni può mutare il paesaggio circostante nell'immediato, rendendoci la vita difficile se abbiamo fatto certe scelte "sbagliate" o facile se ne abbiamo compiute altre più ragionate e intelligenti.

Pesando tutto sulla bilancia, gli ingredienti per un gioco di grande spessore ci sono tutti. Tornare a un setting con protagonisti multipli potrebbe rivelarsi la scelta vincente per favorire la varietà delle situazioni di gioco e quel tipico taglio cinematografico che David Cage ama tanto. Tuttavia, questa scelta richiede una cura minuziosa nella caratterizzazione dei protagonisti e dei comprimari che, altrimenti, potrebbe influenzare negativamente il gioco rendendolo più dispersivo e meno coinvolgente del previsto.

Una cosa è certa: esteticamente Detroit: Become Human è una goduria per gli occhi, scintillante come le luci al neon che illuminano il suo panorama futuristico, freddo e oscuro come lo sguardo impenetrabile di un robot dalle sembianze umane. Ma dietro quello sguardo imperscrutabile, come suggerisce la trama del gioco, potrebbe celarsi un'anima profonda come l'oceano.