Furi - recensione

Samurai (non tanto) elettrizzanti.

Volendo spiegare al meglio Furi (gioco in esclusiva per PS4 e PC) a un'utenza ignara e meno avvezza alla scena indipendente, ovvero quella che potenzialmente scaricherà il gioco in questi giorni “gratuitamente” grazie all’abbonamento al PlayStation Plus, proverei a farglielo inquadrare cercando un appiglio dalle parti del suo disegnatore: Takashi Okazaki, il responsabile del più conosciuto Afro Samurai. Una volta compreso il ceppo da cui proviene l’oggetto di questa recensione, ovvero quello che resta, volenti o nolenti, un esperimento eternamente incompiuto della scena anime, penso sia più semplice capire di cosa stiamo parlando.

Furi è un gioco a metà tra action e twin stick shooter, incentrato esclusivamente sui combattimenti con una serie di boss e che si riserva di inserire uno spazio narrativo nei lunghi e introspettivi cammini posti sistematicamente tra un livello e l’altro. E se non si fosse capito dalle immagini a corredo di questo articolo e in giro per la rete, è anche una produzione piuttosto particolare, forse addirittura in misura maggiore rispetto all’altra IP samurai che l’ha preceduto.

Le sue fasi di combattimento sono piuttosto avvincenti, ma non riescono a spiccare il volo perché cozzano con un sistema di controllo che in più occasioni fallisce nel proporre la pulizia e la precisione necessari in un gioco che punta tutto sulla sfida così fortemente incentrata sugli scontri frontali coi nemici. Dei nemici folli in termini di design, che trovano spazio e danno sfogo a un universo altrettanto pazzo e singolare, ma che proprio per questo non potrà di certo accontentare tutti.

Immagine di Furi PS4

Furi, infatti, non è esattamente il tipo di gioco adatto a chiunque. Il grado di sfida rappresenta sicuramente una barriera all’entrata piuttosto impegnativa da superare: i combattimenti con i boss richiedono attenzione e dedizione, ma anche a livello normale possono essere spesso frustranti per via dell’ingente danno inflitto dai colpi nemici. Duellando per più di 20 minuti, spesso si finisce sconfitti e costretti a ricominciare tutto da capo per un piccolo errore. Si tratta, insomma, di un grado di sfida che non perdona i meno attenti.

E lo stile estetico scelto dagli sviluppatori non aiuta certo a fronteggiarlo. In questo senso, in fase d’acquisto, il gusto del giocatore farà senza dubbio pendere la bilancia da un estremo o dall'altro. Probabilmente Furi non sarà quel tipo di gioco che sta nel mezzo, ma piuttosto finirà per compiacere esclusivamente quel tipo di utenza attratta dalle esperienze oniriche e psichedeliche o che, molto più semplicemente, apprezza il design del mondo e dei personaggi di Okazaki. E c'è da dire anche che la storia dello spadaccino senza nome che sfugge dalla gabbia in cui si trova per affrontarne i guardiani, con quella sua vena narrativa che sfocia spesso e volentieri dalle parti dell’inquieto, nemmeno dà una mano a collocare Furi in modo chiaro e definito.

Spesso si ha l’impressione di essere di fronte a un racconto troppo inutilmente complicato e inquietante, perché è sì apprezzabile l’intenzione di volersi impelagare in delle situazioni e uno stile strambi come quelli scelti da The Game Bakers, ma solo se sorretti da una profondità e una caratterizzazione senza pari. Insomma, non tutti possono scegliere di improvvisarsi David Lynch senza correre il rischio di basarsi su mix di scelte di regia essenziali ma forzate, scenari fotografati grazie un estro artistico interessante ma inconcludente o, ancora, dialoghi al limite dello squilibrio mentale ma quantomeno dai fini dubbiosi.

Graficamente parlando, gran parte del lavoro è svolto dalla direzione artistica e lo stile scelto dagli sviluppatori, che il più delle volte riescono a nascondere la bassa qualità di alcune texture e le piccole imperfezioni tecniche che circondano l’avventura, il tearing su tutte. Dal punto di vista visivo, in sostanza, si poteva fare sicuramente di più per raggiungere picchi nettamente più affascinanti.

Immagine di Furi PS4

Anche dal lato musicale e sonoro non c’è nulla di esaltante da segnalare: le musiche elettroniche sono interessanti in alcuni frangenti, ma non originali e accattivanti al punto da rapire il giocatore come può succedere con altri esponenti della scena indie come, ad esempio, Hotline Miami. Il più delle volte, a dire il vero, alcuni brani musicali restituiscono l’effetto contrario, martellando il giocatore con strofe poco ispirate in dei frangenti in cui il sistema di combattimento mostra il fianco per darla vinta alle pecche del gioco, che risiedono soprattutto nella tediosità e la ripetitività della maggioranza delle situazioni proposte dal gameplay.

Con tutti i limiti del caso, Furi resta comunque un’esperienza soddisfacente per chiunque fosse alla ricerca di un action particolare e per certi versi visionario, almeno per il modo in cui si pone. Chi deciderà di imbarcarsi in questa breve avventura (la durata è ridotta all’osso e la rigiocabilità altrettanto) troverà di fronte a sé un sistema di combattimento impegnativo e spesso appagante, ma che non è sorretto una profondità tale da elevarlo a capolavoro del genere.

Tutti gli altri, probabilmente, finiranno per non comprenderlo o addirittura odiarlo, perché Furi è un gioco che non si pone nel migliore dei modi nei confronti del giocatore: lo sbatte in una prigione fatta di un pattern di minacce che si ripropongono costantemente e in modo piuttosto simile tra di loro, in un quadro artistico esageratamente impegnativo per i propri mezzi e che finisce solo per rovinare le intenzioni di un buon titolo estivo.

Abbiamo recensito Furi su PlayStation 4 grazie a un codice fornitoci dallo sviluppatore. Per maggiori informazioni sul sistema di valutazione di Gameplay.it cliccate qui.